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La crisi delle facoltà scientifiche: un approccio scientifico di Vincenzo Terreni (terreni@anisn.it) Questo lavoro di ricerca inizia a prendere forma quando all’interno dell’Anisn si è cominciato a domandarsi se i segnali che ciascuno di noi percepiva circa un diverso atteggiamento dei giovani verso le Scienze fossero fatti isolati o l’indizio che qualcosa stava cambiando. Ogni tanto un articolo sui giornali o su qualche rivista specializzata riportava il parere di qualche scienziato che si lamentava della scarsa affluenza ai corsi di Fisica, Chimica e Matematica, ma si trattava più che di riflessioni basate su dati nazionali, di impressioni -certamente autorevoli- ma senza la pretesa di registrare un fatto. Come Associazione professionale dei docenti abbiamo deciso di affrontare il problema in modo scientifico con la raccolta e l’analisi dei dati statistici che si riferiscono alle iscrizioni nelle facoltà scientifiche nell’ultimo decennio. All’inizio sembrava un compito facile: con internet e il sito del MIUR, qualche tabella, un po’ di grafici e la curiosità è soddisfatta. In realtà è apparso subito chiaro che era necessario un esperto ed un progetto. Il Ministero ha concesso un finanziamento ed è stato possibile realizzare la ricerca. Questa è stata circoscritta all’analisi della situazione di due Paesi molto vicini geograficamente ed economicamente: l’Italia e la Francia. Il lavoro è stato poi arricchito con qualche dato relativo a Paesi particolarmente significativi in Europa, in Asia e in America. La situazione che è emersa dal confronto tra Italia e Francia non è molto dissimile, mentre molto diverse sono le strategie per tentare di far fronte ad un quadro desolante: le facoltà scientifiche divengono sempre meno richieste. Fa eccezione l’Informatica e gli aspetti più specialistici e tecnologici della Biologia, ma l’insieme è assai preoccupante; un esempio: a Karlsruhe il prestigioso dipartimento di Chimica organica dove ha insegnato A. Kekelé è divenuto parte del dipartimento di Bioscienze per mancanza di iscritti. Ora, mentre è vero che il declino è generalizzato, è anche vero che molti Governi tendono a contrastare questa disaffezione dei giovani verso la Scienza tramite investimenti cospicui e la creazione di un’immagine prestigiosa della Scienza e della Ricerca. In altri Paesi, come il Cile, si rinuncia ad investire per le costose facoltà scientifiche preferendo aiutare gli aspiranti scienziati con borse di studio in prestigiose Università del nord America: quindi, paradossalmente, i Paesi poveri finanziano la formazione scientifica nei Paesi ricchi. E’ infatti molto improbabile poi che i neodottori, allevati ad una ricerca fornita di tutti i mezzi, si rassegnino a ritornare in patria per vivacchiare in attesa di un impiego incerto e mal retribuito. Anche negli Stati Uniti si registra un calo molto consistente nelle iscrizioni alle facoltà scientifiche, calo però compensato dall’aumento degli studenti stranieri destinati a rimanere per sostenere un’economia che è fondata sulla ricerca di base e la tecnologia. Diverso è il caso del Giappone che, grazie a fortissimi investimenti nell’istruzione, ha fatto registrare un aumento delle iscrizioni alle Università con le Discipline scientifiche che mantengono il passo. E’ chiaro che la ricerca non è finita, si tratta di capire meglio le cause che stanno determinando questa disaffezione nei confronti dello studio delle Scienze che sembra generalizzata nei Paesi ricchi con la sola eccezione del Giappone; nelle conclusioni si avanzano alcune ipotesi che occorre approfondire. Certo che l’uniformità nell’orientamento universitario registrata da parte degli studenti italiani e francesi indipendentemente dal fatto che la scuola di élite in Italia sia il Liceo Classico e in Francia quello Scientifico, porta forse a concludere che, indipendentemente dai percorsi dell’istruzione secondaria superiore, all’Università si scelgono strade che fanno sperare in impieghi considerati più sicuri e remunerativi. E’ importante, per una Associazione professionale dei docenti, capire anche quanto i programmi di studio e la loro applicazione influiscano sull’immagine della Scienza che si forma nella mente degli adolescenti, per questo motivo proporremo la prosecuzione di questo studio cercando di coinvolgere le Associazioni europeee in una indagine che interessa tutti, non solo coloro che si occupano di Scienza perché qui è in discussione il fondamento culturale stesso della nostra società. Bisogna accertare inoltre quanto le immagini del nostro modo di vivere che vengono fornite dalla televisione e da ogni atto della vita quotidiana determinino l’orientamento più o meno consapevole dei giovani verso un futuro che li veda impegnati verso campi di studio di tipo umanistico. Siamo tutti portati a considerare ogni oggetto tecnologico di uso comune una sorta di “scatola nera” la cui costruzione e il cui funzionamento non sono degni di alcuna attenzione e curiosità sino quando funziona, se si rompe può essere immediatamente sostituito da un congegno ancor più mirabolante e lontano da noi. Quello che sembra fortemente indebolito è il fascino della Scienza e della Ricerca che non domina più i sogni dei giovani anche molto prima che questi sogni si possano infrangere nelle difficoltà di uno studio superiore impegnativo e rigoroso. C’è da sperare che questo sforzo dell’Anisn di mettere a fuoco un problema di grande interesse culturale ed economico sia utile per tutti coloro che hanno a cuore il destino della Scienza e del suo insegnamento nel nostro Paese ed in molti Paesi europei. Se questo andamento continua -e fino ad ora non si vedono strumenti efficaci per contrastarlo- non è difficile prevedere che entro una generazione il panorama culturale dell’Europa sarà completamente cambiato. |
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